UFC: il declino di Anderson Silva e l’impossibilità di saper dire sì al ritiro

UFC – Everything dies baby, that’s a fact

But maybe everything that dies, someday comes back

Mettiamo subito le cose in chiaro: guardare l’ultimo match di Anderson Silva in UFC contro Uriah Hall è stata una sofferenza enorme. Anderson Silva è stato l’atleta che mi ha fatto innamorare delle MMA e la sua carriera non avrebbe meritato di essere sporcata così. Vengono in mente le terribili immagini dell’ultimo match di Muhammad Ali contro il suo sparring partner/amico Larry Holmes: Ali alle corde per dieci riprese, lento, incapace di prendere l’iniziativa, con l’avversario riluttante a colpirlo, probabilmente dispiaciuto per la punizione inflitta all’ex campione, fino a quando Angelo Dundee non getta la spugna nel quadrato.

Ultimo tango a Las Vegas

Il match tra Hall e Silva, main event di UFC fight night a Las Vegas, non è stato forse altrettanto tragico nell’esito, ma il leit motiv è stato decisamente simile. Dopo un primo round con pochissima azione, forse vinto per un pelo ai punti dal brasiliano, Hall ha preso il sopravvento pur prendendo pochissimi rischi. Spider ha mostrato a tratti brevissimi flash della propria infinita classe, ma senza riuscire mai ad impensierire davvero Hall. Alla fine del terzo round, il primo colpo duro messo a segno da Hall, un overhand destro alla tempia, mette knockdown Silva. Solo grazie al provvido suono della campana il brasiliano sopravvive all’azione in ground and pound dell’avversario. All’inizio del quarto round Anderson prova a prendere l’iniziativa per scrollarsi di dosso la nebbia, ma al primo colpo d’incontro finisce nuovamente a terra e stavolta Herb Dean pone fine alla punizione del brasiliano dichiarando finito il match. Subito dopo, Hall rende omaggio in modo molto toccante all’ex campione, in un lungo abbraccio commosso siglato da parole che raramente vengono pronunciate dentro la gabbia: “I love you”.

https://www.youtube.com/watch?v=uMqGKNiVZdQ

Come siamo arrivati a questo epilogo? Come ha potuto il campione dominante che sfidava le leggi della fisica diventare umano al punto da farsi schiacciare da un atleta certamente non fenomenale come Hall? La risposta è purtroppo banale. Il tempo è il più crudele degli avversari, soprattutto nel fight game. Semplicemente Anderson Silva avrebbe dovuto ritirarsi molto prima dei 45 anni, specie considerando le sue caratteristiche dominanti nell’ottagono: elusività e gioco di rimessa. Sfortunatamente si tratta di caratteristiche intrinsecamente legate ai riflessi, tra le prime doti fisiche a scemare con gli anni.

Hanno ucciso l’uomo ragno

É abbastanza facile individuare lo spartiacque tra la prima e la seconda fase della carriera in UFC del fenomeno di Curitiba. Questa frattura metaforica coincide con la frattura fisica di tibia e perone subita da Silva nel secondo match contro Chris Weidman. Una delle scene più terribili mai viste nell’ottagono: il low kick del brasiliano si infrange sul blocco di Weidman. La gamba rimbalza all’indietro portandosi dietro il piede, appeso come una bizzarra appendice a formare un angolo sbagliato con l’arto da cui discende. In tanti abbiamo pensato che la carriera di “the Spider” dovesse finire in quel preciso istante, e col senno di poi credo sarebbe stato meglio così. Nonostante infortuni del genere abbiano sempre una discreta componente aleatoria, l’andamento di entrambi i match contro Weidman avevano già palesato l’inizio del declino di Silva come fighter. Nel corso del primo, a Weidman era bastato rimanere composto e non abboccare ai continui inviti di Silva ad attaccarlo. Questa semplice strategia ha innervosito il brasiliano, notoriamente restio a prendere l’iniziativa, che si è visto costretto ad esagerare con finte e provocazioni. Weidman è così riuscito a pizzicarlo sul mento mentre indietreggiava senza guardia, per poi finirlo comodamente in ground and pound.

Addio, superpoteri

Voglio sottolineare come in questo ko non ci sia stato nulla di casuale. Per la prima volta in UFC Silva si è ritrovato un avversario in grado di leggere il suo gioco, atleticamente durissimo e mentalmente preparato a non cadere nei suoi tranelli. Improvvisamente la formula segreta dell’uomo ragno dell’ottagono era diventata di pubblico dominio e Silva non è riuscito a trovare un’alternativa valida nell’approccio al combattimento. Nel secondo match, il brasiliano è andato rapidamente incontro alla stessa frustrazione ed ha cercato di forzare la guardia di Weidman dalla distanza con calci isolati. Anche stavolta però l’americano ha fatto i compiti a casa e ad un low kick sinistro oppone un blocco da manuale che spezza in due tibia e perone di Silva.

Tornare sulla terra

Ci vorrà più di un anno per il brasiliano per poter tornare nell’ottagono, ma quando succede è evidente a tutti che il fighter invincibile che tutti ammiravano non c’è più. Il Silva che affronta Nick Diaz, fermo da due anni e di una classe di peso inferiore, è guardingo, calcia molto meno (mai con il sinistro, la memoria fisica del trauma è evidentemente troppo dolorosa) e non riesce più ad esprimere la brillantezza e la creatività a cui ci aveva abituato. Certo, la tecnica cristallina è ancora lì e per qualche breve istante rivediamo le combinazioni ed i movimenti del campione che fu. Ma il timing, la voglia di dare spettacolo, la capacità di confondere gli avversari e portarli esattamente dove si vuole, la reattività soprannaturale…beh, tutto questo è un ricordo del passato. La sensazione è che l’Anderson pre-Weidman avrebbe messo KO Diaz senza neanche troppa fatica. É una sensazione che proveremo ancora guardando gli ultimi match dell’Uomo Ragno di Curitiba.

Umano, troppo umano

Anderson Silva perderà tutti gli ultimi incontri della sua carriera in UFC ad eccezione di quello contro Derek Brunson, incluso il simbolico passaggio del testimone contro Israel Adesanya. Alcuni di questi sono match godibili e competitivi: fra tutti la guerra sui cinque round contro Michael Bisping, che l’inglese vince solo in virtù di un cuore sovraumano, e la sortita in short notice nei LHW contro Daniel Cormier. La sua luce però assomiglia sempre più ad un tramonto. Finisce spesso knockdown, gli avversari sanno leggere le sue finte, le sue combinazioni non trovano più gli interruttori del KO. É ancora un fighter pericoloso, certo: l’esperienza compensa in parte la performance atletica e la sua classe non consente distrazioni agli avversari. Può giocarsela con atleti fuori dal giro titolato, ma il punto è proprio questo: ha senso competere in questo modo per chi come lui ha dominato la categoria per anni?

https://www.youtube.com/watch?v=swcgEARqmmU
Forse l’ultima volta in cui abbiamo visto Anderson Silva esprimersi ai suoi livelli.

Il sole che non tramonta mai

Per chi da spettatore ha assistito alla traiettoria degli ultimi match in UFC di Spider è facile dire che avrebbe dovuto fermarsi prima. Ma non possiamo giudicare un uomo che ha letteralmente speso la sua vita inseguendo la perfezione senza provare almeno a metterci nei suoi panni. Anderson Silva non è stato solo un fighter d’élite, ma un marzialista vero. Silva è il tipo di uomo che vive per combattere, anzi per la pratica marziale in sé più che per la competizione agonistica. Per la bellezza dei gesti, per la perfezione tecnica, per l’incessante lavoro di cesello sui propri limiti, per spingere la carne oltre le catene della fisica e dell’età, per rubare il fuoco agli dei e squarciare il buio che avvolge ogni esistenza. Per tutto questo non ti ringrazieremo mai abbastanza, Anderson.

https://www.youtube.com/watch?v=6-XzIacyFT8

 

Published
2 anni ago
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Storie di MMAUFC
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Written by Luca Antonozzi
(Soprav)vive a Milano insegnando fisica nei licei. Adepto della pratica marziale e del frastuono più insopportabile.

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