UFC – “The all time leader in win, the all time leader in finishes, Donald Cowboy Cerrone”. Leader per vittorie, leader per finalizzazioni, in tutte le categorie di peso. Così diceva Brendan Fitzgerald, commentatore UFC, dopo la vittoria di Cowboy contro Mike Perry nel 2018. 23 (ventitré!) vittorie, 16 (sedici!) finalizzazioni, a pari merito con Charles Oliveira, spalmate in 10 anni di carriera e 36 incontri. Numeri mostruosi per quella che è un’assoluta leggenda di questo sport.
La carriera di Donald Cerrone inizia lontano, nel settembre del 2007, quando esordisce in WEC, la World Extreme Cagefighting, combatte 10 volte in 3 anni alternando vittorie e sconfitte. Nel 2011 la WEC viene assorbita dalla UFC che lo mette sotto contratto. Fa il suo esordio a UFC 126, vince con una sottomissione e si porta a casa il premio “Fight of the night”. Il primo di ben 18 bonus che lo rendono primatista anche in questa categoria.
Combatte tanto e spesso soprattuto nei pesi leggeri, alternando sconfitte, anche brutali, a finalizzazioni incredibili, sottomissioni, calci alla testa. A volte dà l’impressione di poter diventare campione imbattibile, a volte quella di essere un semplice mestierante. Tra il 2013 e il 2015 vince 8 match su 8, e si candida alla sfida titolata. Al campione dell’epoca, Raphael Dos Anjos, basta un minuto per difendere il titolo via TKO. Sarà la sua prima ed ultima chance titolata.
Cowboy è un combattente completo, bravo in tutto ma che non eccelle in niente. Ha un’ottima kickboxing ma non è uno specialista, ha un bellissimo wrestling e una grande creatività nelle sottomissioni ma non cosi tanto da poter essere considerato un fenomeno. E probabilmente è proprio questo che ha condizionato la sua carriera: il non eccellere in nulla. Non essere in grado di sostenere il ritmo in piedi di fighter come Tony Ferguson o Justin Gaethje e di non essere in grado di avere un wrestling tale da disinnescarli. Di nomi dei suoi avversari se ne possono fare tanti visto che ha combattuto contro tutti: da Darren Till a Jorge Masvidal, da Conor McGregor a Nate Diaz. Non si è mai tirato indietro, non gli è mai importato vincere.
Guardare Cowboy Cerrone, a volte, crea del rammarico. Cosa avrebbe potuto fare combattendo 2-3 volte all’anno, preparando meglio i suoi incontri, studiando gli avversari, scegliendoli meglio? Cosa sarebbe successo se non fosse stato carne da macello per i Ferguson, i Gaethje? Non lo sapremo mai. Quel che sappiamo con certezza però è lo spettacolo che ci ha regalato ad ogni incontro, l’amore per questo sport che trasuda da ogni sua intervista, da ogni sua esultanza silenziosa, statuaria. Da ogni suo “walk-off KO“, in cui con sguardo feroce si allontana dall’avversario sconfitto, dalla risata di Mike Perry che in seguito dirà: “Il mio più grande errore? Aver combattuto nella guardia offensiva di Cerrone”. L’armbar che gli permise di stabilire il record di finalizzazioni è di quanto più pregevole si sia mai visto nell’ottagono.
Oggi Cowboy sembra a fine pista. I suoi ultimi combattimenti sono stati due massacri brutali, soprattutto l’ultimo contro Niko Price, finito in pareggio poi diventato No Contest. Pareggio perché a Price sono stati tolti dei punti per via di ditate negli occhi, in un incontro che ha nettamente dominato e da cui Cowboy è uscito con una maschera di sangue. È stato il suo ultimo nei pesi welter, ora si è detto pronto ad un ultimo giro nei pesi leggeri, 3 o 4 incontri per poi ritirarsi. Tre o quattro incontri per provare ad inseguire la cintura.
Tutto inizia sabato notte contro Morono. Comunque vada, Cowboy è già leggenda.
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