UFC, quando i fighter perdono la vita troppo presto: 5 atleti che ci hanno lasciato

UFC – “Si può morire nella gabbia?” è una domanda che spesso si pone chi si approccia alle MMA. La risposta è sì, meno della boxe, ma sì. Il problema è che il mondo delle MMA è spesso in lutto anche per contesti che uccidono i fighter al di fuori della gabbia. Quindi: si può morire nelle MMA? Sì, ma c’è da fare delle doverosissime precisazioni.

Rispetto alla boxe, la differenza è puramente legata alla fisica e all’anatomia: un guanto da quattro once ferisce più superficialmente ed tende a ledere di meno cerebralmente. Di base, questo è il motivo per cui nelle MMA si sanguina più facilmente e le concussioni cerebrali sono meno probabili. 

UFC – Perdere la vita dentro l’ottagono

Purtroppo però, a volte accade anche nella gabbia, e uno degli episodi più recenti è quello di Joao Carvalho, fighter che militava nella Total Extreme Fighting, scomparso nel 2016 dopo un match con Charlie Ward, attuale numero 7 dei rankings pesi medi Bellator. Il match tra i due finì al terzo round per TKO ai danni del portoghese, che avendo accusato un fortissimo mal di testa 20 minuti dopo la fine del match, fu ricoverato in ospedale per essere sottoposto ad un intervento chirurgico cerebrale. Purtroppo non sopravvisse e 48 ore dopo morì.

Da lì la community delle MMA si è infuocata per settimane, con accuse pesanti di late-stoppage mosse all’arbitro del match e le solite inferenze sullo sport, che viene puntualmente tacciato come macabro e incontrollato. Anche McGregor, che era all’angolo di Ward, partecipò al dibattito, esprimendo condoglianze e rispetto per Carvalho e sottolineando la rarità di un avvenimento del genere e l’importanza e i benefici degli sport da combattimento nella vita di tantissime persone. Un caso raro, ma pur sempre amareggiante. 

E al di fuori

Al di fuori dell’ottagono invece, sembra essere un avvenimento tristemente più comune, con chiunque memore delle vite finite troppo presto di atleti come Kimbo Slice o Kevin Randleman. 

Il primo è stato uno dei pionieri delle MMA pop, dalla capigliatura iconica ai match da strada, dalla storia degna di un film, all’essere mentore di Jorge Masvidal. Kimbo è conosciuto da chiunque si avvicini allo sport e a modo suo è un’icona. 

Nel 2016 però, a 42 anni e dopo il ritiro, è deceduto per insufficienza cardiaca, con una neoplasia al fegato diagnosticata post-mortem. Un lutto enorme e una vita finita troppo presto. A seguito, in molti hanno puntato il dito contro l’utilizzo di steroidi, essendo che soli tre mesi prima Kimbo Slice fu sanzionato dalla USADA per tracce di nandolone presenti nel sangue. 

Randleman invece, è stato campione dei pesi massimi UFC dal 1999 al 2000. Un pioniere assoluto, uno dei primi wrestler dominanti nella divisione ed un totale di 33 match disputati in carriera nelle promotion più importanti. Anche lui nel 2016 morì a seguito di complicazioni legate ad una polmonite. Oppure Norifumi Yamamoto, anche lui con una carriera UFC alle spalle. Ha perso la vita nel 2018 per un tumore allo stomaco, ed è memorabile che abbia svelato il suo male solo due anni dopo, quando la prima diagnosi risaliva al 2016, periodo in cui aveva un match UFC in programma. 

L’importanza della salute mentale per la sopravvivenza un fighter

Steroidi e patologie a parte, a volte le cause di decesso tra i fighter sono legate a circostanze relative alla psiche. Si sa, la vita da lottatore non è affatto semplice, e non è raro sentire chi ha dedicato la propria vita alle MMA parlare di quante difficoltà vanno attraversate, dai sacrifici economici e fisici, fino agli infortuni e la costante pressione psicologica. Naturalmente, non tutti riescono a mantenere il focus e la stabilità tali da rimanere in equilibrio. Ed è assolutamente comprensibile. C’è chi entra in depressione, chi accusa gli effetti della CTE e chi perde il controllo a causa degli steroidi.

Quello di Josh Samman invece, è un decesso legato alla dipendenza da sostanze. Sempre nel maledetto 2016 è stato trovato esanime per overdose da antidolorifici, eroina e cocaina insieme ad un suo amico, Troy Kirkingburg, anche lui fighter di una promotion minore della Florida. Samman aveva accumulato quattro vittorie consecutive in UFC tra il 2012 e il 2015 nonostante la scomparsa precoce della sua fidanzata in un incidente d’auto, avvenuta nel 2013. 

Le MMA sono uno sport strano, è incredibile come riescano a concedere emozioni positivamente inebrianti ed emozioni tremendamente negative allo stesso tempo. E questo vale sia per i fan che per i fighter. È evidente come dopo le vittorie accumulate si diventi un dio agli occhi di tutti e quanto si possa sprofondare nell’anonimato e nelle critiche dopo una sconfitta. Questo vale nella vita, come vale nella carriera di chi dedica anima e corpo a questo sport, con tutte le complicazioni e i sacrifici che comporta. A volte possono essere fatali. 

Written by Livio Ricciardi
Livio Ricciardi, classe 1998. Studente di Psicologia e Processi Sociali all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", influencer, cantante, stand-up comedian ma soprattutto appassionato e praticante di MMA. Però giuro che non mi prendo così sul serio.

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