UFC 264, Road To: Gilbert Burns ha il cuore d’oro e le mani di piombo

UFC – Secondo il mito, la fenice, uccello leggendario, viveva 500 anni e poco prima della morte si posava sulla cima di un albero o di una quercia, e si acquietava. I raggi del sole la trasformavano in cenere, e da quella cenere nasceva una nuova fenice. Più bella e più forte di prima. L’araba fenice che rinasce dalla cenere. La storia di Gilbert Burns è la storia della fenice che nasce, muore e rinasce, solo per morire di nuovo e ricominciare il ciclo.

Quando il 13 febbraio, a UFC 258, abbiamo visto Kamaru Usman barcollare per la prima volta, abbiamo davvero capito chi è Gilbert Burns. Per qualche attimo è sembrato davvero che la sua storia completasse il suo arco di redenzione, che riuscisse a mettere le mani su quella cintura. Che potesse uccidere il re. E invece Usman ha dimostrato, ancora una volta ed in modo inequivocabile, che non c’è nessuno meglio di lui. Almeno per ora.

Burns si avvicina da piccolo al Brazilian Jiu-Jitsu (BJJ) in maniera piuttosto casuale. Il padre era un meccanico e mentre sistemava l’auto di uno dei suoi clienti, si accorse che questi era un istruttore di BJJ. Allora scambiò i lavori di riparazione della macchina per tre mesi di palestra per i suoi figli. Gilbert ed i fratelli, entusiasti, diventeranno in breve tempo dei veri fenomeni, vincendo competizioni in giro per il Brasile e il mondo. Gilbert, in particolare, nel 2010 vince l’IBJJF World Championship, ovvero la competizione mondiale di BJJ, e poi ancora nel 2011 e 2013.

Nel 2012 fa il suo esordio nelle MMA e nel 2014 vince al suo esordio in UFC. Debutta nei pesi Welter, ma poi combatte nei pesi leggeri, categoria dove deve tagliare molto peso, cosa che probabilmente lo sfavorisce molto. Nei leggeri è 7-3, e tra le varie sconfitte ce n’è una per via di un KO micidiale, rifilatagli da Dan Hooker. Tornando con la mente nel 2018, credo che nessuno avrebbe scommesso su Burns. Non tanto perché fosse un fighter incapace, quanto, piuttosto, perché sembrava un fighter non adatto agli alti livelli della UFC, un onesto combattente che sarebbe potuto rimanere tra la top 15 e gli unranked. E invece.

Il soprannome di Gilbert Burns è “Durinho”. Quando da ragazzino si allenava nel BJJ a Rio, il suo allenatore chiamava il fratello maggiore Frederick “Todo Duro”, per la sua rigidità e perché era un “tipo tosto”. Fu facile conseguenza che Gilbert venisse soprannominato “Durinho”, piccolo tipo tosto, essendo una versione più piccola del fratello. È un soprannome sicuramente appropriato, visto che Burns, dopo i risultati non esaltanti nei pesi leggeri, ritorna nei pesi welter dove aveva debuttato. Lavora sui suoi difetti, migliora il suo striking, e un peso più naturale per lui lo aiuta enormemente a diventare rapidamente un contendente al titolo.

Come l’araba fenice rinasce dalle sue ceneri, Gilbert Burns rinasce dalle ceneri dei pesi leggeri assumendo nuova forma nei welter. Tra l’agosto e il settembre del 2019 si libera di Alexey Kunchenko e Gunnar Nelson, e il 14 marzo del 2020 manda KO Demian Maia, per la prima volta nella sua carriera. Neanche Kamaru Usman c’era riuscito. Due mesi dopo, il 30 maggio, si sbarazza di Tyron Woodley in una delle performance più dominanti del 2020. In meno di un anno (settembre-maggio) è 4-0 nei pesi Welter, mostrando una dominanza e una completezza a tratti imbarazzante. E la UFC lo premia con una meritatissima title shot, il 12 luglio 2020. A soli cinque giorni dal match però, si prende il Covid, e subentrerà Jorge Masvidal accettando il match con soli cinque giorni di preavviso. Il resto è storia.

Gilbert dovrà aspettare fino al 13 febbraio 2021 per la sua sfida titolata. Inizia il match benissimo, mette colpi potentissimi nel primo round e per alcuni istanti il tempo si ferma per lui e per tutti noi. Burns sembra sempre un uragano quando prova a finire gli avversari, un tornado che si abbatte in maniera caotica, quasi scoordinata, non con violenza ma con foga. È proprio quello che vediamo quando Kamaru barcolla. Ed è la stessa foga che lo fa scivolare, gli fa perdere l’attimo. Due round dopo, Burns va KO, dopo che nel secondo round, come direbbero gli americani, viene “picked apart“, distrutto pezzo per pezzo, in maniera clinica, da Usman.

Nella mia testa c’è sempre l’idea, nascosta e tenuta in un angolo, che se il 12 luglio ci fosse stato Burns e non Masvidal in quell’ottagono, Usman non sarebbe il campione. È stato sicuramente il match più difficile in assoluto per Kamaru, anche più di Colby. In quest’ultimo, sicuramente Usman aveva perso qualche round (addirittura per uno dei giudici ne aveva persi tre) ed il match era tiratissimo, ma Covington non aveva mai dato l’impressione che avrebbe potuto davvero vincere. Con Burns, in quel primo round, la sensazione è stata chiarissima.

Il 10 luglio Gilbert ha davanti a sé un test importantissimo per determinare la sua dimensione come fighter. Come ha già fatto in passato, dovrà rinascere dalle sue ceneri e dovrà battere Stephen Wonderboy Thompson. Sarà uno di quei match in cui è vietato distrarsi, “don’t blink”, non chiudete gli occhi neanche per un istante, perché tutto può accadere. Wonderboy sembrava uno di quegli atleti che, dopo aver toccato l’apice della propria carriera, era pronto a semplicemente appassire. Ad essere quello che in gergo si chiama “Gatekeeper“, un fighter in declino pronto a formare le nuove generazioni. E invece per Thompson pare essere una seconda primavera, e sembra che davvero possa riprovare l’assalto al titolo e, perché no, magari vincerlo, visto quanto ci è andato vicino contro Woodley, nei due match tra 2016 e 2017.

Mancano meno di due settimane e poi avremo le nostre risposte. Burns sta arrivando, e non solo Wonderboy è avvisato, ma l’intera divisione, Leon Edwards incluso, che, dopo aver vinto meritatamente contro Nate Diaz, ha provato a fare un po’ di trashtalking. E non gli è andata decisamente bene.

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Kamaru Usman può in parte testimoniarlo. Gilbert “Durinho” Burns ha il piombo nelle mani. 

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2 anni ago
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Written by Luigi Russo
Nato nel '96 e cresciuto a Napoli da madre cosentina e padre casertano, studio medicina, e nel tempo libero viaggio in giro per il mondo e mi incanto guardando le MMA.

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