UFC – La notte del duello McGregor Poirier è stata una notte durissima per i fan della superstar irlandese. Non tanto per la sconfitta, amara e durissima da mandar giù, quanto per la decadenza di Conor McGregor. In una conferenza stampa di un po’ di anni fa, Conor incalzato dal giornalista che gli chiese se non parlasse troppo rispose:
“Tutti mi dicono tu parli tu parli ma indovina un po’? Faccio seguire sempre i fatti!”
Ieri notte non è stato così, ma non è così già da un po’. È già da quando Khabib lo sottomise che si aprirono alcune crepe nella serietà di McGregor. Porre sempre standard alti, parlare tanto, dire vincerò, dominerò, distruggerò, richiede poi il supporto delle azioni. Altrimenti rimangono i deliri di chi è distante dalla realtà. Conor aveva promesso che avrebbe “ucciso” Dustin, che “lo avrebbe messo in una bara”, che “la sua carriera era finita”. Che “sarebbe uscito su di una barella”. Solo che poi in barella è uscito lui. Con una caviglia rotta, mentre schiumante continuava ad inveire contro Dustin, la moglie, i parenti ed il mondo intero.
È un brutto colpo. Conor McGregor ha costruito la sua intera carriera non sulla forza sportiva ma sulla forza mediatica, sull’essere un catalizzatore, perché a parole forti faceva seguire prove magnifiche di ciò che diceva. Ieri notte gli insegna una bella lezione, ma non è detto che riuscirà a coglierla. Poirier, nell’intervista post match, dice:
“Il Karma non è una puttana ma è uno specchio, Conor ha detto tante brutte cose, io invece ho lavorato duramente”.
Il dualismo McGregor Poirer, che Dustin mette in bella vista, è semplice: se parli male, se insulti, se scendi a livelli infimi poi non puoi che aspettarti questo esito qui. Ma ci impone anche un altra riflessione, più profonda, sul trashtalking. Qual è il limite? Fino a dove ci si può spingere? È la seconda volta che Conor si spinge ben oltre il limite non dell’esibizionismo, non dello spettacolo, ma del rispetto umano.
Lo aveva già fatto col Khabib, quando insultò la religione, la famiglia, la moglie chiamandola lenzuolo, perché portava il velo bianco musulmano. E come Khabib gli disse “ti renderò umile”, così fece, non solo sottomettendolo, ma umiliandolo per quattro lunghissimi round. E ironicamente, di fronte alla disfatta e all’odio profondo del daghestano, Conor riuscì a dire una cosa sola. “It’s only business”. “È solo business”.
Anche questa volta Conor McGregor ne esce a pezzi. Perchè Dustin si leva due sassolini dalla scarpa, imitando la celebre camminata di McGregor, lo chiama “dirt bag”, uno scorretto, gli dice “prima o poi combatteremo di nuovo in un ottagono o per strada”. Ne esce a pezzi perché il confronto McGregor Poirier è impietoso, vista la differenza di classe, di stile, di approccio. L’immagine che accompagnerà per sempre l’esito del duello McGregor Poirier, rimarrà per sempre quella di Conor con la gamba steccata che urla schiumante di una rabbia finta, artificiosa, insulti a Dustin. Perché come dice lo stesso Poirier “mia moglie ha le spalle larghe, è solo rumore quello che detto su di lei”. Ma poi aggiunge:
“Non ci sono barriere con il trash talking, ma l’assassinio non è qualcosa che minacci, non si torna indietro da una cosa come questa. Questo tizio diceva che mi avrebbe ucciso, che sarei uscito da qui dentro in una bara. Non parli così alla gente, io gli auguro di tornare sano a casa dalla sua bellissima famiglia”.
Ciò che rimarrà della serata sarà la fine impietosa di McGregor. Da mattatore delle folle a schiavo di un personaggio che deve spingersi sempre più oltre il limite per poter essere reale. Per poter creare qualcosa. E se lui vuole continuare a crederci, non credo che il pubblico potrà ancora farlo. Le maschere sono calate e l’ultima vera danza dell’irlandese è finita miserabilmente.
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